La lingua resiana (che certi linguisti vogliono sminuire a dialetto sloveno), conserva ancora interessanti tratti arcaici e altri elementi d’interesse come ad esempio la storia racchiusa nelle sue parole: queste sono le perle della lingua resiana, che cerco di scoprire e far conoscere.

LÀNITÄ

LÀNITÄ – guancia. È una parola antichissima, che è conservata nel resiano da prima degli anni 1000.

Di seguito si riportano due frasi tratte dagli antichi manoscritti slavi, comprensibili a chi conosce il resiano.

  1. I bijaahǫ i po lanitama. (paleoslavo traslitterato)

(= e lo percuotevano sulle guance; lo schiaffeggiavano [dal martirio di Gesù]).

  • Iže tę oudarit   v   desnǫjǫ lanitou, obrati-emou   i           drougǫjǫ. (paleoslavo traslitterato)

Ći  te uwdari tu-w prawo    lanito,  obrati-mu      pa (to)   drugho. (resiano)

Se ti colpisce la guancia destra, volgigli anche l’altra. (frase di Gesù)

Il significato ‘guancia’ in resiano è confermato anche nel passaggio di una wïžä: Riśleste dö ś te ćanibe ś solśami dö po lanitah = (orsù) scenda dalle scale, con le lacrime lungo le guance.

Il termine ‘Lànitä’ si è conservata con il significato originale solo nel resiano; in alcune, poche altre parlate, ha modificato il senso originale.

POVÍRÄK

POVÍRÄK, lo conoscete tutti, è un attrezzo ricurvo, appoggiato alle spalle, dotato alle estremità di ganci in ferro ai quali appendere i secchi (ćowdírja) per portare l’acqua dalla fontana in casa, necessaria sia per gli animali che per gli abitanti. In italiano si chiama ‘arconcello’.

In resiano il termine deriva da ‘*po-vir’, usato per dire tet po-vir = ‘andare per (prendere) l’acqua’. Il termine *po-vir, significava ‘alla pozza (dell’acqua)’ e il sostantivo ha acquisito il suffisso ‘-ak’ [come junàk, lesjàk, màčak, osrídak, ostàjak, ostának, rüsjäk…]

In internet https://www.veneziaradiotv.it/blog/bigolo-significato-dialetto-veneziano/ si legge che, in dialetto veneziano, l’arconcello/povíräk si chiama ‘bigòlo’; inoltre: “Veniva utilizzato nelle campagne settentrionali fino agli anni ’50, prima che le abitazioni si fossero dotate di acquedotti. Ad esso si preferì l’utilizzo della bicicletta, o dei mezzi motorizzati. Ad introdurlo nell’utilizzo erano stati i popoli slavi”.

WON

WON: su.In paleoslavo (vedi il testo ‘Introduzione alla lingua paleoslava’ di N. Marcialis, 2005) ‘von’ è una preposizione che significa ‘fuori’. Esempi a pag. 214 del testo citato: išedšema…vъnъ grada (= usciti fuori città), oppure vьne domu (= fuori casa). Da notare che won si declina, sia nel paleoslavo come anche in resiano: tet won (=salire) e bet tu-w-wnë (=essere lassù). A differenza del paleoslavo però, e solo in resiano, WON significa ‘su’: tet wòn ‘salire, andare su’.

Nelle altre lingue slave, es. sloveno per ‘salire’ si dice: Ceco: Jit nahoru; Croato: Ići gore; Polacco: Iść do góry. In resiano la preposizione ‘gore’, era ben nota, ma si è affermata la formula con la preposizione won.

Questa locuzione ci suggerisce che le particolari condizioni ambientali abbiano indotto la scelta di won invece di goré perché, nel passato, quando le case degli antichi resiani, erano interrate, per ‘uscire fuori’ era necessario ‘salire’. La conferma è data dalla seguente combinazione: per ‘andare fuori’, in resiano si dice tet won zwûna, cioè si deve ‘salire’ won e, da lì, ci si sposta per ‘andare ‘fuori’[*z-вънa = ś wüna]. Lo studioso può apprezzare qui la sequenza della declinazione: wüna (genitivo), won (accusativo), wne (locativo).

Interessante è il parallelismo con tet dolu ‘andare giù’, che prevede anche tet dö’ ś dolá, ‘andare fino sul fondo’, oppure ta- dö’ ś dolá ‘laggiù in fondo’ (stato in luogo).

Per completare questa breve indagine sulla preposizione wonvalutiamo anche le altre locuzioni che la contengono:

stat tu (w) wnë’, ‘stare lassù [stare lì su]’; stat tu’ wne w ćanibe (= stare su in camera), complemento di stato in luogo;

stat wnë’, ‘stare in allerta, vigilare’. In resiano questa azione è possibile solo durante la notte e non avrebbe senso alla luce del giorno. Anche in questo caso ‘stat wnë’suggerisce una condizione reale, ovvero la veglia notturna, ipotizziamo, a guardia della propria casa e dei beni.

tet wün dwör = andare fuori nel cortile (ma è sottinteso che sia necessario salire!)

ŚLEDÄT/ŚGLEDÄT, ŚLADÜWÄT

Ślédat/śglédat, śladǘwät ‘contare’. Ho notato che nelle lingue slave non esiste un termine univoco per esprimere l’azione di ‘contare’. Da una verifica effettuata, troviamo: in russo ‘считать’ (che significa anche ‘considerare, leggere’); in sloveno ‘šteti’, in slovacco ‘počítati ̍’, in ceco ‘počítat’, in croato ‘brojati’, in polacco ‘liczyć’.

In resiano śledat/śgledat ‘contare’, è un termine coniato in autonomia, deriva probabilmente da *raz-gledat, dove raz- indica ‘divisione, frazionamento’; per cui ‘guardare separatamente’ śgledat/śledat è stato assunto come formula per l’azione di ‘contare’. Da questo termine è stato coniato poi il verbo iterativo śladǘwät ‘contare molte volte o di seguito’.

Anche la numerazione ha una sua particolarità nel resiano:

da 1 a 19

dän, dwa, trï/trïje, štire/štirje, pet, šëjst, sëdän, ösän, dëvät, dësät, dänest, dwanest, trïnest, štärnest, petnest, šëjstnest, sëdanest, ösanest, dëvätnest,

20 e 30

20 = dwiste, 30 = trïste, [più simile alle centinaia, nel russo двести/dvesti, триста/trista o nello sloveno ‘dvesto e tristo’ (200-300), piuttosto che a ‘двенадцать/dvenadzat’ o ‘тринадцать/trinadzat’, (20-30), ecc.]

21, 22…39

20+1, 20+2…39, dwiste (a)nu dän, dwiste (a)nu dwatrïste (a)nu dëvät;

40 = štrede < štiri rède, lett. ‘quattro file’;

50 = patërduw < pet ridúw, lett. ‘cinque file’;

è evidente che le ‘file’ contengono 10 unità, perciò ricordano la pratica del calcolo con l’uso del pallottoliere.

Alcuni esempi di numerazione:

40+1+2, 50+1+2, štrede(a)nu dän, (a)nu dwa; patërduw (a)nu dän, (a)nu dwa;

da 60 in poi il calcolo è di tipo vigesimale:

60 = 3 volte 20, trïkrät dwiste; 70 = 3 volte 20 + 10, trïkrät dwiste anu dësät;

80 = 4 volte 20, štirkrät dwiste; 95 = 4 volte 20 + 15, štirkrät dwiste anu petnest;

100 stūw.

Per esprimere le centinaia e migliaia il resiano si è affidato a prestiti friulani: 200 dwa čantanarja, 300 trï čantanarja; 1000 den mijār, 2000 dwa mijarja, 3000 trï mijarija.

(SELLA) SAGATA

Un toponimo interessante è Sagata, località sul crinale che divide Resia da Chiusaforte: cosa significa questo termine? Semplice, significa ‘*sa – ghatär’ = ‘dietro la grata (inferriata con funzione di chiusura, riparo)’.

Il termine Sagata ha la stessa origine di Zamlin/Samlin, che significa ovviamente ‘dietro il mulino’ o come Sakališće ‘dietro Kališće’.

Sagata = Sa-ghatä(r) – ha ben ragione di chiamarsi così, poiché si trova dietro la celebre ‘Chiusa’ di Chiusaforte, la fortezza impenetrabile che ha ostacolato anche il passaggio di eserciti e di qualsiasi ‘genti che volessero passare se fossero nemiche’.Il toponimo ‘Clusam’ si trova documentato già nel 1070.

In internet troviamo un po’ di notizie storiche https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/chiusaforte-ud-la-chiusa/ “Il nome deriva dalla costruzione di una fortezza (“La Chiusa”) voluta dal Patriarca di Aquileia (1100 circa) con la quale si imponeva il pagamento di un dazio a chi transitava. Successivamente più volte ampliata, della fortezza oggi non ci rimangono che poche tracce in prossimità del Ponte di Ferro della Ferrovia. A causa della vicinanza strategica del passo e l’interesse economico della fortezza, Chiusaforte attirò l’attenzione di tutti i dominatori del tempo e per molti secoli fu contesa dai duchi d’Austria, dai Patriarchi d’Aquileia e dalla Repubblica di Venezia, subendo inoltre le invasioni turche.”

R. Dapit (in Aspetti di cultura resiana nei nomi di luogo 3., pag. 171) scrive che il termine Sagata deriva dal verbo (sloveno) ‘zagatiti = otturare, chiudere’: ma da dove deriva il verbo sloveno ‘zagatiti’? Deriva da ‘sagata(r)’ e il significato ‘turare, ostruire’ lo dimostra senza dubbio. Perciò il termine (Sella) Sagata non deriva dal verbo sloveno ‘zagatiti’, ma è una definizione creata dai Resiani, suggerita dall’evidenza dei fatti: la località (sella) Sagata si trova ‘dietro la Chiusa’: ‘śa – ghatär’.