La ‘casa’ è il bene fondamentale della vita sociale di ogni popolo, non serve specificarlo: ogni essere umano ha bisogno di un alloggio in cui ripararsi, vivere e crescere. Perciò vorrei qui analizzare il modo in cui questo concetto, così vitale per tutti, si è attestato nella lingua resiana.
Per dire ‘casa’, in resiano usiamo i seguenti termini, che hanno sfumature di significato diverse: HÏŠA, DUM, JÈPARGHE.
Per “l’edificio-casa” diciamo: hïšä; in certe varianti (po biske e po subaške) invece jïšä: il termine è lo stesso, soltanto pronunciato diversamente. Riportiamo alcuni esempi: tet ta-h hïše ‘andare a casa’, oppure ghrin ta-h hïše ‘vado a casa’; ma anche màte na ë tu-w hïše ‘la madre è in casa’; naredet no nöwo hïšo ‘costruire una casa nuova’. Il corrispondente diminutivo-vezzeggiativo è hïšizä ‘casetta’.
Nel suo Vocabolario dell’antico russo (considerato dagli slavisti anche Vocabolario dell’antico slavo), Izmail I. Sreznevskij a pg. 1426 scrive così:
ХЫЗА, ХЫЖА, ХИЗА, ХИЖА che traslitterati diventano > HYZA, HYŽA, HIZA, HIŽA, tradotti tutti con il termine хижина > hižina = ‘capanna’ e домъ > dom’ = ‘casa’. Il termine è considerato un prestito germanico ed è inserito nell’elenco “The Germanic loanwords in Proto-Slavic” = I prestiti germanici nel proto-slavo”, perciò è naturalmente presente nel resiano.
Un altro termine per indicare la ‘casa’ è dum/dom; ha un significato diverso, indica principalmente il concetto di ‘luogo dell’essere/patria’, piuttosto che l’edificio in mattoni ed è usato soltanto quando un resiano si trova lontano dal paese o dalla sua valle. Ad esempio, se è nell’alpeggio – planina il resiano dirà: màte na ë ta-dömä ‘la madre è in paese/casa’; ghrin damùw, ghrin w dum ‘ vado in paese/casa’. Le stesse frasi vengono pronunciate dai Resiani che si trovano lontano, magari per lavoro a Milano o all’estero.
Un esempio fra i tantissimi, da Materialien I (1895) di Baudouin de Courtenay, cartella 579: na mœ́la kórbo tána hartœ̀ anu kól za nьstèt sœ́nö damú ‘aveva la gerla sulla schiena e il paletto [di sostegno] per portare il fieno a casa’; ci spiega che il soggetto si trovava lontano dalla sua casa e il narratore predilige il termine dum per sottolineare il concetto di ‘luogo dell’essere’.
Nelle lingue slave per indicare “edificio, casa” si usa il termine ‘Dom’. In russo si dice: “мама дома > mama doma = ‘la mamma è a casa’; я иду домой > ja idù domòj = ‘io vado a casa’. Il termine russo e, slavo in generale, dom è confrontabile con il termine latino Domus: tutti abbiamo sentito parlare della Domus Aurea dell’imperator Nerone. Lo slavo dom non deriva dal latino ‘domus’, ma entrambi derivano dalla radice indoeuropea DEM, “casa”.
Dal vocabolario Treccani si legge: la patria è il territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni. Questa descrizione corrisponde pienamente al termine resiano dum, come immagine dell’ essenza resiana.
Una curiosità del resiano, collegata a dum, è il verbo odumë́t ‘rinvenire, tornare in sé, riprendersi da uno svenimento’ [vedi BdC 1895:417; Tadáj ni só udumœ́ly ö́badwá. ‘Allora sono rinvenuti entrambi’]. Il termine è senza dubbio composto da –dum-, che qui assume il significato di ‘tornare in sé, nell’essenza’.
Un altro vocabolo interessante è jeparghe che, a mio parere, significa ‘alloggio’. Come mi è stato spiegato da un professore di tedesco, jeparghe comprende il germanismo “berg”, che anticamente significava ‘riparo’, mentre nel tedesco moderno significa ‘monte, montagna’. Ecco che berg > ‘riparo’ indica proprio la casa, cioè il luogo dove trovare riparo. Il termine è confrontabile con *haribergo di origine gotica, da cui deriva l’italiano ‘albergo’. Qui troviamo un termine tedesco in un concetto molto importante della lingua resiana.
Per completare questa rassegna possiamo inserire una curiosità: HREM, REM (non più in uso).
Nel suo Materialien I (1895) cartella 278, Baudouin de Courtenay riporta quanto gli viene detto da un informatore resiano (si trascrive la grafia originale ad eccezione di Ć e Ǵ, al posto del cirillico):
“Ta u̯né u̯ remu” ti stári so ǵáli prí táko, ma jiŋén ní ni ćéjo vэ̀ć. Prít ni so ǵáli jitáko, anu jiŋén ni díjo: “ta u̯né u̯ ćánibь”. = “ta-wné w remu” – Lassù in camera” i vecchi dicevano prima così, ma adesso non vogliono più. Prima dicevano così, e adesso dicono: “ta-wnè w ćanibe = lassù in camera”.
Poi a pag. 540 di Materialien I, aggiunge anche: Tà na Líšćaceh ni díjo šćœlœ̀ hrэ̀m ćánibe. “A Lischiazze dicono ancora hrэ̀m alla camera.”
Rem o Hrem indica una stanza all’interno della casa e, da quanto riportato, deduciamo che la stanza si trovasse in alto ta-wné. In nostro aiuto viene la descrizione della casa resiana di I. I. Sreznevskij, nel testo “Gli Slavi del Friuli”, che riporta le impressioni del viaggio di studio fatto a Resia nel 1841 (28 e 29 aprile).
I benestanti hanno la casa costruita su tre piani: in basso c’è la dispensa e una cucina con il focolare; in mezzo ci sono le camere (chrambe) con tavole (stôli) e panche (mize), alcune con stufe (farni); nel piano alto c’è un ripostiglio, usato anche come deposito (chljiw) [per il fieno];
Dalla descrizione si desume che le case dei benestanti avessero al primo piano una stanza, tipo salotto per ricevere amici o parenti, che I. I. Sreznwvskij descrive arredata con tavole, panche e stufe.
Per approfondire di più, ho consultato ancora il suo Vocabolario dell’antico russo, che riporta il termine xрам > hram, con diversi significati: fra cui ‘casa’, ma anche ‘camera, stanza’ e ‘stanza al piano superiore’, spiegazione quest’ultima che coincide proprio con l’espressione resiana ta-wné w remu.
Nadia Clemente