Autore: Nadia Clemente

WÏŽA – POESIE CANTATE

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La vena letteraria e poetica dei Resiani ha trovato uno sbocco naturale nella canzone in rima. Un tempo, ma ormai non più, i cantautori resiani componevano poesie e, non sapendo scrivere, le declamavano come canti in occasione delle feste. Molto spesso venivano cantati l’innamoramento e la persona amata, la sua bellezza, magari sullo sfondo di una natura luminosa e incontaminata. A volte i canti erano di tristezza, o di rabbia, per un amore non corrisposto; in altri casi erano uno sfogo del dolore per la madre morta troppo presto, lasciando soli i figli piccoli, oppure la sofferenza per il marito o la moglie morti. Spesso le poesie esprimevano la nostalgia per l’amato, lontano per lavoro o per servizio militare. La poesia di questo tipo era lo sfogo più immediato per i sentimenti che, cantati, permettevano di condividere, manifestare e idealizzare la propria vita, di solito fatta di fatica e privazioni nella realtà di tutti i giorni.

Baudouin de Courtenay, a proposito della ‘vena poetica dei Resiani’, nota la ‘Notevole capacità di alcuni resiani di narrare e in generale di parlare in versi. La costruzione di questi versi è fondata sulla consonanza delle sillabe o rime finali, ma con una determinata e sempre uguale quantità di sillabe’. (Resia e i Resiani, p. 98, Resia 2000)

PRAVIZA – FAVOLE, FIABE E LEGGENDE

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La tradizione letteraria resiana è stata trasmessa solo oralmente, per molti secoli, e solo negli ultimi 50 anni si è iniziato a raccogliere e conservare per iscritto quanto, fino al momento, veniva raccontato solo a voce. La maggior parte della produzione orale consiste in un ragguardevole numero di favole, racconti, leggende e canti.

Le favole (praviza), venivano tramandate dalle narratrici resiane, particolarmente attente e impegnate a conservare e perpetuare il patrimonio letterario resiano. I protagonisti principali delle praviza sono gli animali antropomorfi, che incarnano vizi e virtù umane. Fra questi spicca la volpe (lisïzä), che è il soggetto prediletto della gran parte delle favole resiane. Non si contano le sue prodezze e astuzie: è seducente, lusinghiera e abile ingannatrice, si finge debole, per manipolare gli altri. Fra le tante volpi abbiamo anche la sosia della Povival’naja lisiza russa – La volpe levatrice. Alcune favole resiane ricordano la tradizione favolistica di Esopo, altre riecheggiano racconti diffusi anche nel vicino Friuli, ma moltissime sono originali. Oltre alla volpe, nelle favole resiane appaiono anche il lupo uk, l’orso madved, il corvo wran, il coniglio śez, il gatto tuzä, il gallo patalen, il cane päs, la lumaca rughäz, il topo meš, la formica rüsizä. La cicala di Esopo invece, pigra e scansafatiche, è impersonata da una cavalletta skakej: in questo caso viene evidenziata la contrapposizione maschile-femminile, perchè rüsizä/la formicarappresenta il femminile, mentre skakej/la cavalletta, èil genere maschile. Le novellatrici resiane sapevano intrattenere i bambini e anche gli adulti, ambientando le avventure degli animali nei luoghi frequentati, vissuti e indicati con il toponimo noto a tutti. Gli animali invece non hanno mai un nome proprio e di solito sono associati al patronimico della famiglia, vicino cui vivono; a volte parlano in modo ridicolo, perché aggiungono una š o ž alle parole: žghotarčeć (invece di ghotarčeć ‘compare’) e si danno del ‘voi’. Il marcato realismo delle favole accompagna i bambini a fare conoscenza con il mondo ed i suoi aspetti buoni e cattivi, in modo sereno ed equilibrato.

Altri protagonisti delle favole resiane sono: principi, maghe, belle ma povere fanciulle; fratelli alla ricerca di un’acqua miracolosa, fratelli che cercano moglie, montanari furbi e diavoli.

Non manca, fra i racconti, un filone di letteratura religiosa, che celebra giovani, figli di nobili, praticanti il digiuno, la penitenza, la preghiera continua e la sofferenza per entrare, dopo la morte, in paradiso. Uno di questi testi resiani riecheggia proprio la Leggenda di S. Alessio, il cui culto era molto diffuso nel medioevo. Non è possibile, a causa della mancanza di testimonianze scritte, conoscere come, quando o da chi è stata portata questa leggenda fino a Resia. Questo filone di letteratura religiosa comprende, oltre ai racconti, anche canti religiosi, come lo Stabat Mater o il Sodni din (Giorno del Giudizio) ancora oggi cantati nelle chiese di Resia, in occasione delle feste solenni; pertanto è realistico ipotizzare la presenza in Valle di un clero, parlante una lingua slava e a conoscenza di questa particolare tradizione letteraria religiosa, poi trasmessa ai Resiani.

Wïžä – Una poesia-canto spontaneo resiano

Wïžä – Una poesia-canto spontaneo resiano (nella parlata resiana di Oseacco)

Ta-śa Kalïšćen ka ta tof                                                  A Śa-Kalïšće dov’è quel tufo

Ta-śa Kalïšćen ka ta tof                                                   A Śa-Kalïšće dov’è il tufo

So bila pa dürnulica                                                         c’erano anche le more

nu česplina anu slïvica                                                    susine e gocce d’oro

nu hrüška nu pa abukä                                                   e pere e anche mele

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

koślïće nu pa kraviza                                                       capretti e anche mucche

manjave nu pa rïbiza                                                       pescetti e pesciolini

Nu žabice tu-w mlakize                                                   e le ranette nelle pozze

Tu-w mlakize so pluvila                                                   nelle pozze nuotavano

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Nu lün ë kraduw pišćatä                                                 e il falchetto rubava i pulcini

Anu lisizä kokuše                                                              e la volpe le galline      

Nu puhave ghorëhića                                                      e i ghiri le noci [diminutivo]

Nu wranave so kwakale                                                 e i corvi gracchiavano

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Nu baba sono praghanjala                                             e le donne scacciavano

Praghanjala anu strašila                                                 scacciavano e spaventavano

Nu otroze so špeghale                                                    e i bambini osservavano

Ta-śa Kalïšćen ka ta tof                                                   A Śa-Kalïšće dov’è quel tufo

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

So špeghale nu sa smëale                                              osservavano e ridevano

So ghledale nu skakale                                                    guardavano e saltellavano

Nu vërvica nu puhiće                                                       e gli scoiattoli e i ghiretti (piccoli ghiri)

Ni so sa zilibünkale                                                          si dondolavano

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Ta-śa Kalïšćen ka ta tof                                                   a Śa-Kalïšće dov’è il tufo

Isa t’ë na Śvalintawä                                                        Questa è una [canzone] dei Śvalent

Isa t’ë na Śvalintawä                                                        Questa è una [canzone] dei Śvalent

Rivanä wïžä                                                                        Il canto è finito

Composta nell’aprile-maggio 1997, [la grafia è stata riadattata da Nadia Clemente]

(da Toni Česär, Famiglia: Di Lenardo Svalent)

TA BUŠKÄ LISÏZÄ

Alora śa sa-śvasalët, ćon wän pravet no pravizo

TA BUŠKÄ LISÏZÄ

Alora, dän din, ta buškä Lisïzä na bila vilakanä, na prašlä ta-śis Wuardo, na šlä na šlä, anu na sa përblïžilä ta-h numu kontadïnu tu-w Reśije. Na nalëśla na büla wsïšet, na popadlä dän šjal, anu na si ǵala wuon po ghlave, na sa pokrïlä drët dö śa peta, bašta na skrïlä pa rep, anu na wlëzla nutar-w dwör

Itu so bila karje kokoší anu pa ta laške Patalen, na a spravilä ta-za kokošarjon anu na počnelä pridićät, da:

“Lipa-ma kokošïza, śakö́j stojïtä iśdë, vï nïstä tej ta drügha kökuše, vï stä boë brüwna. Śa nu-maju to odmatö́në ka ni wän dáaö, matä stat iśdë śaǵána; prïditä śa mlu, ka ćemö lëpu stat w-kompanïö, ćemö pët, plesät anu si pravet praviza.”

Ta kökuše so poslüšala anu ǵjala da: “Po, po, t’ë fes itaku! Ǵö ǵö, na mä ražun! Eh, t’ë fes itaku! Po ǵö ǵö!”.

Kar kokuše so wriskala anu lüpala roka, ta buškä Lisïzä na popadḯwalä, wsë të ka na moghlä́. Na melä no valḯkö wrëćë ta-pod šalön anu na fërkalä nutar pišćata, no arizo, dnaghä žečićä anu pa kire abuku, bašta nu maju wsïghä.

Ko kokuše s-Patalïnön so ghínjala kokodékät, Lisïzä na spet pö́čalä pridićät:

Lipa-ma kokošïza, śa no pašćizo muka, ka ni wan dáaö pö dnëj, matä pïkät ves din anu jin nastet na valïka tirina ajez! Prïditä śa mlu, hremö ta-ś ta njiva, ćemö sa-naëst, so sírkiće, so ghrḯghiće, parpaliza, ćemö mët wsighä rát.” Anu na talïku pridićalä, ka ji glïnǧëlä fïn dentjèrä!

Kökuše, s Patalïnön, so sa ǵala plesät, skočḯwät śa ligrèčo anu ji pufïrjawät śa ëst.

Ko na bilä lëpu sḯtä anu mëlä basanö wrëćë, ta buškä Lisḯzä na sa paraćalä śa tet anu kökuše, s Patalïnön, so pravila: “Spet prḯde, spet prḯde”. Baštä na jin obaćalä da “Ćon spet prḯt, ćon spet prḯt”. Anu na šlä, kumój, teku na bila basanä.

Ghorë́ na dän tëdän Lisḯzä na bilä spet jitù, onä́ anu Uk. Un, pokrḯt ś no öwčjo kö́žo, ë mëw ta fals madáa anu ë pö́čuw:

“No madao tabë ka ti si wredew ina-taka lipa kökuše”, an di Kontadïnu, anu mu takow no madáo.

“Dno tabë ka ti lëpu a warjöš” tumu laškamu Patalḯnu anu pa njamu no madáo.

“Dno tabë ti ni liwčä kö́küš, ś ta brijolasta pirä”, anu pa njëj dno madáo.

Kar ta kökuše so lüpala róka, bašta nu da – “Ǵö ǵö!”, Lisḯzä na si basalä wrëćë, nosḯlä ta-stran-mëa anu spet së.

Anu Uk: “Madaa pa śa …. anu śa …..”.

Baštä, madaa śa wsa: ba na tëlä śábet kiraghä, ka ni ba tële sa ofïndinät

Alora, jinjän sa mä čakǎt, da Uk rivej takawät madáa….

Allora per rallegrarci vi racconteremo una favola

La Volpe slovena

Allora, un giorno, la Volpe slovena era affamata, ha superato il monte Guarda e cammina cammina si è avvicinata alla casa di un contadino adi Resia. Ha trovato della biancheria stesa ad asciugare, ha afferrato uno scialle e si è coperta dalla testa ai piedi, insomma ha nascosto anche la coda ed è entrata nel cortile.

Lì c’erano tante galline e anche il Gallo forestiero, li ha riuniti dietro il pollaio ed ha iniziato a predicare:

“Carucce le mie galline, perché state qui? voi non siete come le altre galline, voi siete più brave. Per un po’ di pastone che vi danno, dovete stare qui chiuse! Venite con me, staremo bene in compagnia, canteremo, balleremo, ci racconteremo le storie”

E le galline ascoltvano e dicevano: “Po-po, è proprio così! Si, sì ha ragione! Eh, è proprio così! Po si-sì!”.

Intanto che schiamazzavano e battevano le mani, la Volpe slovena arraffava tutto ciò che poteva. Aveva un grande sacco sotto lo scialle e gettava dentro pulcini, una pollastra, un coniglietto e anche qualche mela, insomma di tutto un po’.

Quando le galline con il Gallo hanno finito di crocchiolare, la Volpe si è messa di nuovo a predicare:

“Care le mie galline, per una manciatina di farina che vi danno per ciascuna, dovete becchettare tutto il giorno e deporre grandi vassoi di uova. Venite con me, andiamo per quei campi, faremo grandi abbuffate, ci sono i chicchi, i grilli, le farfalle, avremo abbastanza di tutto.” E predicava con tanta enfasi, che le rimbombava perfino la dentiera!

Le galline con iI Gallo hanno cominciato a ballare, saltare dalla felicità e offrirle cibo.

Quando fu ben sazia e con il sacco pieno, la Volpe slovena si apprestava a partire e le galline con Gallo, a dire: “Ritorna, torna di nuovo”. Insomma gli ha promesso: “Tornerò, tornerò ancora”. E partì, a fatica, con il suo carico.

Una settimana dopo la Volpe era di nuovo lì, lei con il Lupo. Lui, coperto con una pelle di pecora, aveva delle medaglie false ed comincia a dire:

“Una medaglia a te che hai allevato delle così belle galline”, dice al Contadino e gli attacca una medaglia.

“Una a te che le sorvegli con cura” al Gallo forestiero e anche a lui una medaglia.

“Una a te la Miss delle galline, con le piume colorate”, e anche a lei una medaglia.

Intanto che le galline applaudivano, e insomma: “Sì, sì, evviva!”, la Volpe si riempiva il sacco, portava al di là del confine e tornava di qua.

E il Lupo: “Medaglie anche a…. e a ……”.

Insomma, medaglie per tutti: non vorrei dimenticare qualcuno, che si potrebbe offendere.

Allora, adesso si deve aspettare che il Lupo finisca di attaccare le medaglie…

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