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Portatrici resiane

In passato, incuriosito dalle vicissitudini riguardanti le “portatrici carniche”, che rifornivano il fronte durante la grande guerra, ho cercato informazioni ovunque. Con l’avvento di internet è stato certamente più facile accedere a questa “biblioteca mondiale” che ci permette di entrare in una costruzione con infinite stanze.  Ho cercato di capire quale fosse la motivazione che ha spinto queste donne a svolgere un lavoro tanto faticoso. Motivazione patriottica o necessità di procurarsi un reddito per mantenere la famiglia? Entrambe? La storia riporta che alla richiesta di aiuto per portare i rifornimenti al fronte, la risposta di una di esse, quella poi caduta sotto il fuoco nemico fu: “Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame”.

Ho voluto scrivere questo articolo per far conoscere una pagina di storia resiana, perché da una prima indagine, a Stolvizza, nessuno è al corrente di questa attività svolta durante la prima guerra mondiale. Le portatrici carniche hanno messo a rischio la propria vita perché in alcuni punti il percorso era sotto il fuoco del nemico, quelle resiane fortunatamente no. Il percorso, militarmente parlando, era completamente in sicurezza. Mia nonna paterna Maria Negro era una delle portatrici resiane.

Siamo nel 1917 e il fronte è a ridosso della nostra valle; le truppe necessitano di essere rifornite continuamente di armi, munizioni e sostentamento. Servono volontari per il trasporto fino a Sella Prevala.

Munizionamento, armi e alimenti arrivano con i camion militari, o carri trainati da cavalli, alla frazione di Prato di Resia. A Prato la strada termina. Qui vengono caricati i muli, che li portano sul monte Colc dove termina la mulattiera. I muli non possono procedere oltre perché il sentiero è stretto e non adatto a loro. Da qui servono spalle forti, gambe robuste e tanta volontà.

Si forma una squadra con decine di persone e caposquadra è mio bisnonno materno Antonio Moznich. Anche la bisnonna, allora incinta, fa parte del gruppo come portatrice. Il carico, trenta chili per le donne e cinquanta per gli uomini, deve essere portato fino a Sella Prevala. Chi compie il tragitto completo è remunerato con cinque lire. Tre lire invece a chi arriva fino alla casermetta militare Celso Gilberti, ora un rudere.

La nonna, allora diciannovenne, ha svolto questo servizio per circa un anno. Non continuamente, quando arrivavano i rifornimenti.

Il trasporto ha inizio da monte Colc, distante un’ ora di cammino dal paese. Poi si sale agli stavoli di Narone, con una salita senza particolare difficoltà. Da Narone diventa più impegnativa e si sale fino a circa 1400 metri per arrivare al punto in cui il sentiero aggira la montagna sotto il monte Sart, spostandosi a destra verso il monte Canin. Da qui il sentiero si mantiene sostanzialmente piano, non è difficoltoso ma molto pericoloso. Il prato è molto ripido e nessun appiglio a cui aggrapparsi in caso di caduta. I nonni mi raccontavano che quando dovevano falciare, asciugare e raccogliere il fieno usavano i ramponi da ghiaccio per non scivolare. Per comprendere quanto è ripido il terreno i locali chiamano quel tragitto, “Röbra-petto, torace”. Nel ripido prato non è presente alcuna possibilità di appiglio.

Terminato l’attraversamento si arriva agli stavoli di Casera Grubia. Siamo in prossimità della base sinistra del monte Canin di fronte al picco di Bila Pec.

Da qui si riprende a salire. È l’ultima salita, la più impegnativa.

Ci sono una infinità di tornanti che permettono di raggiungere Sella Grubia dove finalmente la salita termina. Da qui il sentiero costeggia la schiena del monte Canin diventando sostanzialmente piano fino al rudere del vecchio rifugio, una casermetta militare intitolata a Celso Gilberti. Per la nonna e pochi altri il viaggio termina qui.

Chi vuole può proseguire fino a Sella Prevala per due lire in più: bisogna scendere fino all’attuale nuovo rifugio, che oggi si può raggiungere con la funivia, e poi risalire per raggiugere la sella dove il viaggio termina per tutti.

A Stolvizza hanno partecipato a questa attività almeno una decina di persone di cui fu fatta anche una foto ricordo, purtroppo andata perduta. Non sono a conoscenza se anche a Resia fosse stato formato un corpo di ausiliarie, come per le portatrici carniche, ma so che a tutti coloro che parteciparono venne consegnata, quale riconoscimento dell’attività, una medaglia d’oro al valore. Purtroppo quella di nonna Maria fu rubata una decina di anni fa da casa dei miei genitori dov’era tenuta in bella mostra a ricordo della nonna.

Rimane il ricordo indelebile che mai potrà essere intaccato, neppure dai ladri criminali.

Tiziano Quaglia

LA CASA

La ‘casa’ è il bene fondamentale della vita sociale di ogni popolo, non serve specificarlo: ogni essere umano ha bisogno di un alloggio in cui ripararsi, vivere e crescere. Perciò vorrei qui analizzare il modo in cui questo concetto, così vitale per tutti, si è attestato nella lingua resiana.

Per dire ‘casa’, in resiano usiamo i seguenti termini, che hanno sfumature di significato diverse: HÏŠA, DUM, JÈPARGHE.

Per “l’edificio-casa” diciamo: hïšä; in certe varianti (po biske e po subaške) invece jïšä: il termine è lo stesso, soltanto pronunciato diversamente. Riportiamo alcuni esempi: tet ta-h hïše ‘andare a casa’, oppure ghrin ta-h hïše ‘vado a casa’; ma anche màte na ë tu-w hïše ‘la madre è in casa’; naredet no nöwo hïšo ‘costruire una casa nuova’. Il corrispondente diminutivo-vezzeggiativo è hïšizä ‘casetta’.

Nel suo Vocabolario dell’antico russo (considerato dagli slavisti anche Vocabolario dell’antico slavo), Izmail I. Sreznevskij a pg. 1426 scrive così:

ХЫЗА, ХЫЖА, ХИЗА, ХИЖА che traslitterati diventano > HYZA, HYŽA, HIZA, HIŽA, tradotti tutti con il termine хижина > hižina = ‘capanna’ e домъ > dom’ = ‘casa’. Il termine è considerato un prestito germanico ed è inserito nell’elenco “The Germanic loanwords in Proto-Slavic” = I prestiti germanici nel proto-slavo”, perciò è naturalmente presente nel resiano.

Un altro termine per indicare la ‘casa’ è dum/dom; ha un significato diverso, indica principalmente il concetto di ‘luogo dell’essere/patria’, piuttosto che l’edificio in mattoni ed è usato soltanto quando un resiano si trova lontano dal paese o dalla sua valle. Ad esempio, se è nell’alpeggio – planina il resiano dirà: màte na ë ta-dömä ‘la madre è in paese/casa’; ghrin damùw, ghrin w dum ‘ vado in paese/casa’. Le stesse frasi vengono pronunciate dai Resiani che si trovano lontano, magari per lavoro a Milano o all’estero.

Un esempio fra i tantissimi, da Materialien I (1895) di Baudouin de Courtenay, cartella 579: na mœ́la kórbo tána hartœ̀ anu kól za nьstèt sœ́nö damú ‘aveva la gerla sulla schiena e il paletto [di sostegno] per portare il fieno a casa’; ci spiega che il soggetto si trovava lontano dalla sua casa e il narratore predilige il termine dum per sottolineare il concetto di ‘luogo dell’essere’.

Nelle lingue slave per indicare “edificio, casa” si usa il termine ‘Dom’. In russo si dice: “мама дома > mama doma = ‘la mamma è a casa’; я иду домой > ja idù domòj = ‘io vado a casa’. Il termine russo e, slavo in generale, dom è confrontabile con il termine latino Domus: tutti abbiamo sentito parlare della Domus Aurea dell’imperator Nerone. Lo slavo dom non deriva dal latino ‘domus’, ma entrambi derivano dalla radice indoeuropea DEM, “casa”.

Dal vocabolario Treccani si legge: la patria è il territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni. Questa descrizione corrisponde pienamente al termine resiano dum, come immagine dell’ essenza resiana.

Una curiosità del resiano, collegata a dum, è il verbo odumë́t ‘rinvenire, tornare in sé, riprendersi da uno svenimento’ [vedi BdC 1895:417; Tadáj ni só udumœ́ly ö́badwá. ‘Allora sono rinvenuti entrambi’]. Il termine è senza dubbio composto da –dum-, che qui assume il significato di ‘tornare in sé, nell’essenza’.

Un altro vocabolo interessante è jeparghe che, a mio parere, significa ‘alloggio’. Come mi è stato spiegato da un professore di tedesco, jeparghe comprende il germanismo “berg”, che anticamente significava ‘riparo’, mentre nel tedesco moderno significa ‘monte, montagna’. Ecco che berg > ‘riparo’ indica proprio la casa, cioè il luogo dove trovare riparo.  Il termine è confrontabile con *haribergo di origine gotica, da cui deriva l’italiano ‘albergo’. Qui troviamo un termine tedesco in un concetto molto importante della lingua resiana.

Per completare questa rassegna possiamo inserire una curiosità: HREM, REM (non più in uso).

Nel suo Materialien I (1895) cartella 278, Baudouin de Courtenay riporta quanto gli viene detto da un informatore resiano (si trascrive la grafia originale ad eccezione di Ć e Ǵ, al posto del cirillico):

Ta u̯né u̯ remu” ti stári so ǵáli prí táko, ma jiŋén ní ni ćéjo vэ̀ć. Prít ni so ǵáli jitáko, anu jiŋén ni díjo: “ta u̯né u̯ ćánibь”. = “ta-wné w remu” – Lassù in camera” i vecchi dicevano prima così, ma adesso non vogliono più. Prima dicevano così, e adesso dicono: “ta-wnè w ćanibe = lassù in camera”.

Poi a pag. 540 di Materialien I, aggiunge anche: Tà na Líšćaceh ni díjo šćœlœ̀ hrэ̀m ćánibe. “A Lischiazze dicono ancora hrэ̀m alla camera.”

Rem o Hrem indica una stanza all’interno della casa e, da quanto riportato, deduciamo che la stanza si trovasse in alto ta-wné. In nostro aiuto viene la descrizione della casa resiana di I. I. Sreznevskij, nel testo “Gli Slavi del Friuli”, che riporta le impressioni del viaggio di studio fatto a Resia nel 1841 (28 e 29 aprile).

I benestanti hanno la casa costruita su tre piani: in basso c’è la dispensa e una cucina con il focolare; in mezzo ci sono le camere (chrambe) con tavole (stôli) e panche (mize), alcune con stufe (farni); nel piano alto c’è un ripostiglio, usato anche come deposito (chljiw) [per il fieno];

Dalla descrizione si desume che le case dei benestanti avessero al primo piano una stanza, tipo salotto per ricevere amici o parenti, che I. I. Sreznwvskij descrive arredata con tavole, panche e stufe.

Per approfondire di più, ho consultato ancora il suo Vocabolario dell’antico russo, che riporta il termine xрам > hram, con diversi significati: fra cui ‘casa’, ma anche ‘camera, stanza’ e ‘stanza al piano superiore’, spiegazione quest’ultima che coincide proprio con l’espressione resiana ta-wné w remu.

Nadia Clemente

LA LINGUA RESIANA…UNO SCRIGNO DI TESORI

Immergersi nello studio della linguistica è come vivere un’avventura affascinante; le parole ci raccontano storie straordinarie che, molto spesso, nessuno può più svelarci. I parlanti accolgono, elaborano e riflettono le complesse relazioni della vita umana, le immagini della vita quotidiana, i rapporti interpersonali, le tappe della storia, riportandoli nelle parole. Ogni lingua è un caleidoscopio di mondi vari e affascinanti.

La lingua resiana corrisponde esattamente a questa descrizione, per la varietà di prestiti che vi si trovano.

Nel lessico resiano-slavo troviamo una serie di parole che dal proto-germanico sono passate nel proto-slavo e, quindi sono arrivate fino a noi1; sono elencate qui di seguito (tra parentesi l’originale e poi > in resiano): 

(xlěbъ>) hléb ‘pane’ [pane a pasta acida’ contrapposto a (kruxъ>) kruh ‘pane in generale’], (kotьlъ>) kotòw ‘paiolo’, (kupiti>) kǘpet ‘comprare’, (kusiti>) kǘšät ‘assaggiare’, ecc.

Un’altra serie di termini derivano dalle parlate del germanico occidentale1e sono entrate nell’antico slavo:

(avorъ>) jàwor/àwor ‘acero’, (cьrky>) zírkuw ‘chiesa’, (dъska>) dä́ska ‘asse’, (xlěvъ>) hliw ‘ fienile’, (xyzъ>) hïšä ‘casa’, (jьstъba>) jïsbä ‘isba’, (nabozězъ>) nabúśäz ‘trapano, succhiello’, (pila>) pḯlä ‘sega’, ecc.

Non solo; sono entrate nello slavo antico anche parole dal latino1, come:

(bersky>) perčikä ‘pèsca’, (čeršьna>) črišinjä ‘ciliegia’, (kolęda>) kolédä ‘questua epifanica’, (mъlinъ>) mlèn ‘mulino’, (mъstъ>) mošt ‘mosto’, (sekyra>) sikírä ‘accetta’.

Come già detto, le parole non sono termini astratti, ma l’immagine di rapporti fra popoli che si incontrano o si scontrano, che sono bilingui ed hanno contatti, commerciali, culturali o di sottomissione, chissà!

Leggendo qua e là, troviamo termini arrivati da molto più lontano: dal kazako2ottaw ‘taglio del fieno’, che in resiano è otàwä ‘secondo taglio del fieno’; sempre dal kazako košč ‘campo di nomadi’, ‘vivi da nomade’, ci piace pensare che possa essere confrontato con il cognome “Cos”, forse un retaggio di köščšči ‘nomade’, con un’accezione di ‘coraggioso’.

Nella lingua resiana troviamo anche delle formazioni autonome, da me considerate ‘perle’: Povíräk ‘arconcello’, Prë́dnën ‘di mattina presto’, Remorafìsta, deriva dalla combinazione di ‘eremo (< dal friulano ‘remo’) e Ravistan’, (Sella) Sagata, significa semplicemente sa-ghàtär = dietro la grata, Bohobare – guai! (esclamazione), dall’unione di due parole Bö́gho + bare, cioè ‘chiedi a Dio’, Tö́čikej < w toliče kej  ‘appena poco fa’, w-dúmu ‘velocemente’, correre tanto velocemente da alzare la polvere cioè ‘il fumo’.

Con l’italiano ed il friulano la lingua resiana condivide anche una serie di parole entrate nel lessico durante il periodo storico dominato dai Longobardi e poi dai Franchi, fondatori del Regno d’Italia (855). In resiano quelle parole si sono mantenute inalterate nel corso dei secoli, mentre nelle altre due lingue i termini hanno subito un’evoluzione [nel seguente elenco, dall’originale4 si trascrive il termine > res/resiano, poi quello friul./friulano e it/italiano]:

(originale francone) *waidhanjan ‘portare al pascolo traendone profitto’> res. ‘wadänj ‘guadagno’, friul. ‘uadàgn ‘guadagno’, it. ‘guadagno’;

(originale francone) *walkan ‘rotolare, muovere di qua e di là’ > res. ‘wlàćät ‘camminare barcollando’, friul. ‘svuazzâ ‘sguazzare’, it. ‘gualcare (sodar panni con la gualchiera)’;

(originale longobardo) *wankja ‘(parte) curva’ >, res. ‘wïnćä ‘curva, tornante’, friul. ‘suincâ ‘evitare, aggirare’, it. ‘guancia’;

(originale francone) *want ‘abito’> res. ‘wänt ‘abito’, friul. ‘vuant/guànt ‘guanto’, it. ‘guanto’;

(originale gotico) wardja dal v. germ. warōn ‘prestare attenzione’> res. ‘wàrdijä’, friul. ‘uàrdie’, it. ‘guardia’;

(antico francone) guaries, ‘molto’> res. ‘kàrje’ (ipotesi), friul. —, it. guàri ‘molto’ (spec. in espressioni negative);

(originale gotico) *slahta ‘stirpe’> res. žlahte ‘parentado’, friul. sclàp ‘schiera, brigata’, it.  schiatta;

(originale gotico) *stalla ‘dimora, sosta’ > res. štàlä, friul. stàle, it. stalla;

(originale longobardo) *smahh(j)an ‘rendere piccolo’, > res. smàkar ‘ceffone’, friul. smacajà ‘acciaccare’, it. smaccare.

In questa rassegna del lessico resiano un posto molto importante occupano i prestiti friulani, testimonianza dell’interazione continua di noi Resiani con la società friulana, da cui abbiamo recepito la struttura socio-economico-amministrativa e politica. Al contrario, non c’era altrettanta ‘consuetudine’ con gli sloveni, basti dire che in resiano non esiste la parola ‘sloveno’. Per ‘sloveni’ si dice ‘Buške’, cioè abitante di Bovec (> Buške), esteso poi a tutti gli sloveni e, la Slovenia, è ‘Buškö’. Nella lingua resiana non è mai penetrato il termine ‘slovenski, slovenez’.

Volendo comprendere appieno l’importanza dei prestiti friulani, possiamo fare una classificazione e raggrupparli per categorie: esempio quella dei soggetti economici, degli arredi e dell’oggettistica di casa, degli attrezzi da lavoro, degli elementi architettonici, del vestiario, delle pietanze, ecc.

Di seguito un esempio di prestiti friulani per indicare i soggetti economici, che si affermavano nella società friulana: baćâr ‘macellaio’, uštîr ‘oste’, bošćadö́r ‘boscaiolo’, ćaradö́r ‘carrettiere’, kràmär ‘ambulante’, ecc.

I termini pervenuti nella lingua resiana sono stati chiamati pirǵana basida (lett. ‘parole aggiunte’) e i friulanismi sono circa 2.000, ad indicare l’influenza significativa ed ininterrotta della cultura e società friulana nella vita resiana. Alcuni di questi friulanismi sono talmente antichi che vengono percepiti come originali resiani, es.: bračadórja ‘spallacci della gerla’, bä́lč brǘšć ‘fascina di sterpi’, plö́veh ‘aiuto collettivo’, brudušćä́t ‘parlottare ad alta voce’, braf ‘contento, soddisfatto’, ecc.

Accanto ai friulanismi, nella lingua resiana, coesistono anche germanismi, dovuti alla presenza in valle di un clero tedesco e poi alla frequentazione dei resiani nei territori dell’impero asburgico, protrattosi per secoli, fino alla Grande guerra. Sono germanismi alcune parole molto sentite nella società resiana, come ad esempio: ghöträ ‘comare’, ghötar ‘compare’.

Considerata questa varietà di termini, estranei al sostrato slavo, giustamente Baudouin de Courtenay aveva chiamato il resiano anche ‘lingua mista’.

Insomma a ben guardare la nostra lingua ci racconta il  percorso della nostra storia: chi abbiamo incontrato e dove, come abbiamo cambiato le nostre abitudini da nomadi a stanziali, come abbiamo ricavato il sostentamento dalla terra, dall’allevamento del bestiame e dal commercio, come abbiamo conservato i nostri usi e costumi, sempre orgogliosi di essere ‘resiani’ senza mai tradire, per secoli e secoli, la nostra autentica identità resiana.

Nadia Clemente

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Note:
1—Prestiti nel protoslavo da Wikipedia;
2—Dal Segno al suono pg. 186; Olzhas Suleimenov (Sandro Teti Editore, 2015)
3—Dal segno al suono pg. 173;4—Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli 19834

4—Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli 1983. 

JAN BAUDOUIN DE COURTENAY

(1845 – 1929)

Slavisti

Jan Baudouin de Courtenay, fu un linguista e slavista russo di origini polacche. Per noi Resiani è stato il primo e massimo studioso indipendente della lingua resiana.

LA VITA

1845 – I. Baudouin de Courtenay Nacque a Radzymin, in Polonia. Seguì i primi studi a Varsavia, proseguiti poi a Praga, Jena e Berlino.

Nel 1868 a Pietroburgo fu allievo di I. I. Sreznevskij.

Nel 1870 si laureò dottore in filosofia all’Università di Lipsia.

Dal 1872 al 1875, fece un viaggio di studio fra gli slavi meridionali, inviato dal Ministero russo della pubblica istruzione.

Nell’agosto 1873 fu a Resia per 4 settimane, imparò il resiano e visse a stretto contatto con i Resiani, trascrivendo tutte le loro conversazioni su qualche migliaio di schede. Dagli appunti e studi iniziati durante il soggiorno a Resia, elaborò il: SAGGIO DI FONETICA DELLE PARLATE RESIANE.

Nel 1875 il SAGGIO fu pubblicato e contribuì a fargli ottenere a Pietroburgo il titolo di Dottore di linguistica comparata.

Dal 1875 al 1883 Insegnò grammatica comparata e sanscrito all’Università di Kazan.

Dal 1883 al 1893 insegnò grammatica comparata delle lingue slave all’Università di Dorpat (Tartu), dove tenne anche un corso di resiano.

Dal 1894 al 1899 insegnò linguistica comparata all’Università di Cracovia.

Dal 1900 al 1918 insegnò linguistica comparata e sanscrito all’Università di Pietroburgo.

Dal 1918 fino alla morte 1929 tenne la cattedra di linguistica indoeuropea all’Università di Varsavia.

La sua vita fu fervida di studi, di pubblicazioni e di riconoscimenti. Fu associato come membro in diverse Accademie. Egli fu un protagonista della linguistica ottocentesca e un esponente molto considerato della filologia slava.

La sua produzione letteraria vanta più di 600 titoli, fra i quali spiccano anche i testi dedicati al resiano.

I titoli che ci riguardano sono

1) Oпыт фонетики peзьянских говоров. Варшава – Петербург 1875; [Saggio di fonetica delle parlate resiane. Varsavia – Pietroburgo 1875]

2) Резья и Резьяне, Петербург 1876; [Resia e i Resiani. Pietroburgo 1876]     

3) Резьянскій Катихизис, как приложеніе к “Oпытy фонетики peзьянских говоров”.  Варшава – Петербург 1875. [Il Catechismo resiano, come appendice del “Saggio di fonetica delle parlate resiane”. Varsavia – Pietroburgo 1875]

4) Materialen zur südslavischen Dialektologie und Ethnographie I: Resianische Texte. St. Petersburg 1895. [Materiali per la Dialettologia ed Etnografia slavo meridionale I: Testi resiani. San Pietroburgo 1895]

5) Materialen zur südslavischen Dialektologie und Ethnographie III: Resianisches Sprachdenkmal “Christjanske Uzhilo”. St. Petersburg 1913.  [Materiali per la Dialettologia ed Etnografia slavo meridionale III: Il monumento linguistico “Christjanske Uzhilo”. San Pietroburgo 1913]

6) Резьянский Cловарь [Vocabolario resiano]. Il Vocabolario resiano, inedito, fu depositato manoscritto nel 1903 presso la Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.

Tutti questi libri sono reperibili in internet ad eccezione del Vocabolario resiano-russo.

I Resiani devono essere estremamente grati a Baudouin de Courtenay per queste pubblicazioni, perché senza il suo impegno non avremmo mai potuto leggere i primi testi scritti in resiano: Il Catechismo resiano (1790) e il Christjanske Uzhilo (1845-) [Hristjanske Učilo ovvero l’Insegnamento cristiano].

Per quanto riguarda il Vocabolario resiano invece, una parte è stata pubblicata da Nikita Il’ič Tolstoj nel 1966 in Lessicografia e Lessicologia slava, dalla lettera A alla lettera D.

Per la restante parte, a seguito di un accordo fra l’Accademia delle Scienze di Mosca e dell’Accademia delle scienze di Lubjana, il prof. Aleksander Dulicenko elaborò una copia del manoscritto che inviò a Lubjana nel 1990, da dove non uscì mai più, a causa di una serie di impedimenti o stratagemmi che lo stesso prof. Dulicenko chiamò “odissea resiana”. Sappiamo che nel corso degli anni, sono apparse varie notizie sull’uscita imminente del vocabolario e abbiamo appreso che col tempo il vocabolario resiano-russo di Baudouin de Courtenay è diventato Vocabolario sloveno-russo. Il lettore di queste righe si chiederà il perché di questo, è presto detto: il cambiamento del titolo è dovuto alla decennale campagna di slovenizzazione del resiano e dei Resiani, attuata dalla Slovenia.

Il Saggio di fonetica delle parlate resiane venne tradotto in italiano da Giuseppe Loschi nel 1891, ma non venne mai pubblicato e rimase depositato presso la Biblioteca “V. Joppi” di Udine. Nel 2016 ne venni a conoscenza e, vista la sua importanza per la lingua resiana, ne ho curato la pubblicazione nel 2018.

I PRESTITI FRIULANI NELLA LINGUA RESIANA

Pïrǵàna basida (parole aggiunte)

Sappiamo che la continua interazione dei Resiani con la società friulana ha portato in valle lo
sviluppo, le nuove conoscenze, i cambiamenti sociali, il progresso, in una parola, ha indirizzato la
storia sociale resiana. Le novità provenienti dai Friulani venivano accolte e accettate insieme con i
vocaboli originali, adattati alla grammatica resiana, divenendo parte integrante del lessico: lḯndä
(ballatoio), saglàr (secchiaio), ćamḯn (camino), kop (mestolo, tegola), ecc.
Nell’epoca storica in cui sono sorte e poi si sono sviluppate le attività economiche, con le
relative strutture e risorse umane, i Resiani ne hanno accettato tutte le forme anche lessicali,
assimilandole alla propria lingua. Si può comprendere e studiare bene questa evoluzione,
scorrendo il seguente elenco, compilato consultando il vocabolario friulano-italiano Il Nuovo
Pirona 2020. I lemmi resiani sono in neretto seguiti dalla traduzione in italiano e l’etimo friulano;
fra parentesi quadre [ ] sono riportate alcune frasi esplicative, tratte dal libro di Baudouin di
Courtenay Materialien I (1895), tali e quali, anche con la grafia cirillica, dove presente.

Apä́lt, bottega dove si spacciano generi di privativa, es.: tabacco; (< Apàlt);

Baćar, macellaio (< Beciar) [BdC 1895:184: Tí, ke ṷbṷýwajo žyvýno, mi dímö baћár: Quelli che macellano gli animali, noi chiamiamo Baćár];
Baćjarïa, macelleria (< Beciarie);
Bandâr, stagnino (< Bandâr);
Barbîr, barbiere (< Barbîr);
Barḯghlä, botte (< Barîl, Bariglòt);
Barkarjúl, barcaiolo (< Baracarûl);
Batifjàr, battiferro, officina (< Batifiâr, Batifièr);
Bosćadö́r, boscaiolo (< Boscadôr);
Brèk, finanziere (< Bric ‘banditore o messo fiscale del comune’);
Brigadîr, brigadiere (< Brigadiere);
Butighír, bottegaio (< Bottegaio);

Ćačadö́r, cacciatore (<Ciazzadôr); [BdC 1895:102; So bíle dwa ћačadö́rja ‘c‘erano due cacciatori’];
Ćaljâr/Súštär, calzolaio (< Cialiâr);
Ćamarâr, cameraro (< Ciamerâr); Il Nuovo Pirona 2020:126 “Cameraro, titolo che si dava all’amministratore o esattore o cassiere di comunità civili e religiose. I registri delle spese tenute dai camerari, che in buon numero si conservano ancora negli archivi degli enti pubblici, delle opere pie, delle chiese, offrono spesso riscontri e notizie interessanti per la storia locale e per le forme dialettali usate molti secoli addietro.” Il termine, in resiano, è diventato anche sinonimo di ‘briccone’;
Ćápitä́n, capitano (< Ciapitani);
Ćaradö́r, carrettiere (< Ciaradôr); [BdC 1895:96: An délal ћaradö́r ‘faceva il carrettiere’];

Dentíšt, dentista (< Dentist);
Diretö́r, direttore (< Diretôr);
Dižertö́r, disertore (< Disertâ ‘disertare’); [BdC 1895:297: to so bile ne dižr̥tö́rje ‘erano dei disertori’]

Famë̀j = servo, di solito familiare, che si tiene in casa per i lavori, (< Famèi);
Finančòt, gurdia di finanza (< Finanzòt);
Foréšt, forestiero (< Forèst);

Ǵinitö́rija, genitori (< Genitôrs);
Granatîr, granatiere (< Granatîr);

Imparadö́r, imperatore (< Imperadôr); [BdC 1895:191: Kráj; imparadö́r. = ‘Re; imperatore’];
Infirmîr, infermiere (< Infermîr);
Išpetö́r, ispettore (< Ispetôr);

Kafatarïä, caffetteria (< Cafetîr); [BdC 1895:176; Mǘnyh ma kafataríjo. ‘Il sagrestano ha una caffetteria’].
Kantö́r, cantore di chiesa (< Cantôr); [BdC 1895:1058 Koj ni prýdeta, ta dwá kantö́rja, ná sэ má pötpýsat tápo dikrèt. ‘Quando arriveranno quei due cantori, devono firmare sotto il decreto’.] La tradizione dei canti in resiano, è sorta probabilmente alla metà del 1800, per opera di don Odorico Buttolo Ploz e don Francesco Gallizia. Prevedeva dei cantori in ogni chiesa della valle, ma erano autorizzati, come leggiamo qui, con un decreto. In occasione delle messe solenni, tutti i cantori delle frazioni convergevano nel Santuario di Prato.
Kapuzḯn, cappuccino (< Capuzzin);
Karozîr, carozziere (< Carozzîr);
Karpintîr, carpentiere (< Carpentîr);
Kavalîr, cavaliere (< Cavalîr);
Klànfär: stagnino, lattoniere (< Clànfar);Kliént, cliente (< Cliènt);
Kö́ghär, Kö́ghrizä, cuoco, cuoca (< Cògo);
Komári, comare (< Comàri); si usa anche il germanismo Ghoträ da ‘Gevatterin’ [BdC 1895:153];
Komisâr, commissario (< Comissari);
Konsajír, consigliere (< Conseîr);
Kopàre, compare (< Copari); si usa anche il germanismo Ghoter da ‘Gevatter’ [BdC 1895:153];
Korazîr, corazziere (< Corazzîr);
Kràmär, ambulante (< Cràmer);
Kunjàt, Kunjàdä, cognato, cognata (< Cugnat, Cugnade);
Kursö́r, messo che notifica atti pubblici, corriere (< Cursôr);

Ladrún, ladrone (< Ladròn); [BdC 1895:237; Búh je bil ђa na krïš tami dvë́ma ladrúnama, ‘(Cristo) Dio è stato messo in croce fra due ladroni’];
Làre, ladro (< Làri);

Maèšträ, maestra (< Maèstre, Mèstre); [BdC 1895:162: Bólna maéštra, tuu̯ kóve. ‘La maestra ammalata,nel letto’];
Majö́r, Maggiore (< Majôr);
Monowàl, manovale (< Manoâl); [BdC 1895:1058; Monowàl, tí, ka naréa màlto ‘manovale, quello che fala malta’];
Marangûn, falegname (< Marangòn);
Mídeh, medico, dottore (< Mièdi); [BdC 1895:272; Stь miídeh, anu vi ni ћéte raћèt ‘siete medico e non volete dire’; (espressione rivolta a Baudouin de Courtenay)];
Mištír, mestiere (< Mistîr); [BdC 1895:269; ká a má mištîr, k â múlina ‘egli ha un mestiere, dipinge’];
Montanjúl, montano, montanaro (< Montagnûl);
Mulinár, mugnaio (< Mulinâr); [BdC 1895:16; An̨ je šàl jö́čajoћ dö́luh mulinárju ‘è andato piangendo giùdal mugnaio’];
Mǘneh, sagrestano (< Muni); Il Nuovo Pirona 2020:626; “che ha cura della pulizia e degli addobbi della chiesa, dei vasi e dei paramenti sacri, che provvede a suonare le campane”. [BdC 1895:176; Tí, ka züný, jь mǘnyh. Mǘnyh ma kafataríjo. ‘Chi suona è il sagrestano. Il sagrestano ha una caffetteria’].
Mǘniä, monaca (< Mùnia);

Nodâr, notaio (< Nodâr);
Nuvič, Nuvičä, sposo, sposa (< Nuvìz, Nuvìzze);

Paradö́r, battitore di caccia (< Paradôr); [än naghanjä živïno ta-h ćačadörjän ‘spinge la selvaggina versoil cacciatore];
Pastîr, Pastírizä, pastore, pastorella (< Pastôr); [BdC (1895):175; Pastírje śa hodèt hnä́t kravэ ‘Pastori perandare a pascolare le mucche’];
Pitö́r, pittore, imbianchino (< Pitôr);
Plavàn, parroco (< Plavàn); [BdC 1895:28; Lisica bíla šlà dékla plavánu ‘La volpe era andata comedomestica dal parroco’];
Portìr, portiere (< Portîr);
Postìr, Postìrizä, postino, postina (< Postîr);
Pré, prete (< Pré); Il Nuovo Pirona 2020:803 in luogo di Prédi; [BdC 1895:88, Ja sь bílel taṷ jíspœ ta per dóm Štéfanu (= pré Štéfanu) ‘io imbiancavo nella cucina da don Stefano, pré Stefano’]
Pretö́r, Pretore (< Pretôr);
Priśonîr, prigioniero (< Presonîr);

Ričevitö́r, ricevitore, ufficiale pubblico (< Ricevitôr);
Rośoä́n, resiano (< Roseàn);

Sagratàreh, segretario (< Sacratàri); [BdC 1895:251; Ja man tèt tah sagratárihu ‘Io devo andare dalsegretario’]
Sašḯn, assassino (< Sassìn);
Šjör/Šjö́rä, signore, signora, benestanti (< Siôr/Siòre); [BdC 1895:239; Tadáj na se ћœ́ pajàt, táj te práve šijö́ra ‘Allora si (com)porterà come una vera signora’];
Šḯndek, sindaco (< Sìndic); [(BdC (1895):1051; Áno bóh šíndik šћé nošni dín an ћe umrít zá faštíbihэn ‘e il povero sindaco ancora oggi muore per la preoccupazione (era rimasto solo, perché il segretario era stato richiamato alle armi)];
Školér, scolaro (<Scuelâr); [BdC 1895:420; Ánu jíse sýn ni tél obadát ti drǘhyh škulírjou̯ ‘E questo figlio non voleva badare agli altri scolari’];
Smulḯkar, raccoglitore di resina (< Smòle); [BdC 1895:226; smulýkarjь];
Sowdàt, Soldàt, Sowdadije, soldato, soldati (< Soldât) [BdC 1895:1051; ni so nón wzele sekrэtáriha za soṷdáda ‘ci hanno preso il segretario per soldato’];
Spezjarḯa, farmacia (< Speziarìe);
Štríjä, strega (< Strìe); [BdC 1895: 890. Tána Múcovьn, ka štríje pléšeo. Lì dei Moz (toponimo che riporta il nome di casata), che le streghe ballano. 1895:913 Ka štrije pléšeu, kó ni naréaȗ tóčo ‘che le streghe ballano, quando fanno la grandine];
Štrijun, mago (< Strïôn);

Taštamùneh, testimone (<Testemòni);
Tesêr, Tasér, tessitore (< Tessêr); [BdC 1895:155; Tadэj sэ ma je ђat tah tasérju ‘allora si deve metterlodal tessitore’];

Uštír, Uštírizä, oste, ostessa; (< Ustîr, Ustere); [BdC 1895:1111; Uštírjь ní ne smíjo prodáat, ћe to bózaђáno ‘Gli osti non devono osare vendere, se sarà chiuso’];
Uštirḯjä, osteria (< Ustirìa, Ostarie); [BdC 1895:14; Ni so pr̥šlì tuṷ no oštaríjo ‘sono giunti in una osteria’];

Verendíkul, rigattiere, straccivendolo (> Rivendicul); [BdC 1895:232: Verendíkula, ka stüjý prodájat nahürýcь ‘Rigattiere, che sta a vendere sulla piazza’];

Zḯngär = zingaro (< Zìngar).Nel Mali Bisidnik za tö jošt rozajanskë pïsanjë (2005) di H. Steenwijk si sono contati 2.314 termini resiani, di cui 730 prestiti dal friulano, praticamente il 31,50%.

Le peculiarità del Resiano

Autore Nadia ClementePubblicato il 22 Agosto 2023            

Le peculiarità del Resiano

Da qualche tempo abbiamo iniziato delle collaborazioni con studiosi indipendenti, per
approfondire lo studio della lingua resiana. Nella continua ricerca abbiamo individuato, nel resiano,
elementi interessanti e varie caratteristiche arcaiche sia nella grammatica, sia nel lessico, che nella
fraseologia del resiano. Lo studio è servito innanzitutto per svelare delle peculiarità, ancora
sconosciute. Nonostante i tanti annunci, finora abbiamo sentito sempre l’apparentamento del
resiano con una lingua straniera, ma non abbiamo letto articoli che chiariscano le tante particolarità
e curiosità della lingua resiana.
Facendo un continuo lavoro di approfondimento, abbiamo trovato elementi di similitudine
anche con la lingua russa. Questo non dimostra che i Resiani siano Russi, ma svela una grande
vicinanza con la loro antica lingua slava. Sulla nostra identità, anche Baudouin de Courtenay nella
relazione agli Atti del IV Congresso internazionale degli orientalisti (Firenze 1878) aveva scritto: In
simile maniera possiamo dimostrare, che i Resiani non sono Bulgari, non Serbo-Croati nel senso
stretto, ecc., e che ci rappresentano, dal punto di vista glottologico, una stirpe slava indipendente.
 
Gli studiosi con cui collaboriamo hanno trovato particolarmente interessanti le parole:
 
böholo < böhow lok ‘arco divino, arcobaleno’;
Bohow-din – ‘giorno divino, domenica’;
prёdnёn < prёd dnёn – ‘prima del giorno, = mattina presto’;
točikej < v toliče kej (< toliko, ‘un poco’), ‘in un poco = appena poco fa’;
počasu < po času, ‘secondo il tempo, =lentamente’;
wdümu < w dümu, ‘nel fumo, = velocemente’ (cioè correre tanto da alzare la polvere, come un
fumo)’.
 
Hanno imparato le espressioni:
nё morёt gha vïdёt, odiare, (vedi ‘nenavidet’/ненавидеть = odiare; in russo, ceco, slovacco,
polacco);
tet śa tin, ‘andare dietro a quello, interessarsi’;
tet na-ta prit , ‘andare in avanti, proseguire’;
to prïdё raćet ‘questo viene a dire, cioè’.
 
Hanno conosciuto le formule avverbiali per l’inizio delle fiabe:
tadaj dän din, ‘allora un giorno, una volta’;
prit nu prit, ‘prima e prima, una volta, tanto tanto tempo fa’;
nur, ka to bëše, ‘c’era una volta’.

 
Abbiamo individuato queste frasi, che sono familiari e comuni anche all’orecchio russo:
Buh dej no lehko nuć, in russo ‘Боже, дай нам легкую ночь/Bože daj nam legkuju noč’;
Spïtё lёpu, in russo ‘Cпите xорошо/ ‘Spite horošo’, = Dormite bene, Buona notte!
Dёlitё döbär vijäč anu stüjte lёpu śdrow!, in russo ‘Cчастливого пути и оставaйтесь в добром здoрoвe/ Sčastlivogo puti i ostavajtes’ v  dobrom zdorove! = Buon viaggio e state in buona salute!
Maróka! (escl.: accidenti, caspita!), In russo (id.) морока/moroka: escl.: accidenti! caspita! [BdC
1895:339; Maróka!, ropotä́n anu uštinän – ‘Accidenti! Litigioso e testardo’.
 
Hanno trovato molto interessanti i nostri proverbi, cito uno in particolare:
Vinče ghrében nu ku patalèn, ‘più grande la cresta del gallo = tanto fumo e poco arrosto’.
 
Si sono soffermati in modo particolare sul nostro modo di esprimere le relazioni spaziali
(posizione e direzione del movimento), utilizzando preposizioni composte:
ta-na Bile (a Resiutta), tu-w Bile (a San Giorgio), ta-na Ràvänze (a Prato), ghorë́-na Ravänzo (su
a Prato), dö-w Ghumḯn (giù a Gemona), ecc.
 
Insomma abbiamo intrapreso una collaborazione interessante e proficua, anche per
dimostrare che la lingua resiana non è degli sloveni, né degli slavisti filosloveni, ma dei Resiani.

WÀDLO – un termine scomparso dal resiano

WÀDLO – rinsecchito, avvizzito, appassito, fiappo.
Avevo trovato per la prima volta questa parola in uno scritto sloveno che citava wàdlo come appartenente alla lingua resiana, senza però indicarne il significato, né in sloveno né in italiano. Incuriosita molto, ho chiesto informazioni a tutti gli amici resiani, anche a mia madre che era del 1929, ma nessuno l‘aveva mai sentita.
Un giorno, casualmente, mentre leggevo il testo di Baudouin de Courtenay Materialien I (1895) con mia grande gioia, finalmente la mia ricerca era finita, ho trovato il termine che avevo tanto cercato.
Nella cartella n. 723 si legge: Trébi dažŋá. Wsœ čísto wádlo, sǘho. ‘C’è bisogno di pioggia. È tutto appassito, secco’. Nel Materialien I Baudouin de Courtenay ha tradotto i testi resiani in tedesco e quindi ho potuto leggere Man braucht den Regen. Alles ist durch und durch verwelkt (welk), trocken e fortunatamente verificarne il significato: ‘C’è bisogno della pioggia. Tutto è completamente appassito (appassito), secco’; con il rimando a piè di pagina: **** “Flapp”.
Quindi è accertato: WÀDLO, è un termine della lingua resiana con il significato di ‘rinsecchito, avvizzito, appassito, fiappo’.

Resta il rammarico per una perdita preziosa nel registro lessicale della lingua resiana: ma fortunatamente il termine wádlo non è scomparso del tutto, perché si è conservato nella forma t’ë sa śawàlilo ‘si è infeltrito’. Se ne deduce che wadlo è l’aggettivo derivato da un ipotetico verbo *wadlet; nel nostro caso da *(sa) wadlet ‘rinsecchire, avvizzirsi, infeltrirsi’, da cui deriva l’espressione t’ë sa śawàlilo ‘si è infeltrito’, derivato da *śawàdlilo. La sparizione della ‘d’ è la conseguenza dell’assimilazione delle due consonanti ‘-DL-’, che nel tempo ha prodotto > ‘-L-’ [-dl- > -l-].
Qui mi sorge spontaneo l’invito a tutti i resiani ad inserire il termine wádlo nell’uso quotidiano della lingua resiana. Ko ë süš sa mörë raćet: t’ë wsë wádlo, sǘho. Tradotto in italiano: ‘Quando c’è siccità si può dire: è tutto appassito, secco’.

KAKU SÖMÖ HODÏLE PO SËNU WON-NA PRUWÁLO, TA ŚÏMË (COME ANDAVAMO A PRENDERE IL FIENO IN PROVALO, D’INVERNO)

Ko to bìlu śa tet po së́nu won-na Pruwàlo, si oviśàwuw mighä oćä́, da mä paraćä́t 3-4 žlḯka, ka mö́j
oćó ë naréuw žlḯka, ta valḯke žlek, në ta maje. Anu sömö́ bile 4-5 (štire-pet) njeh, ma t’ë tëlu pa dnaghä valḯkaghä śa pomàghät: śa nabašúwät së́nu, anu pa śa oǵàt pót. Ka to ba biw Dante ni so mu ǵàle Dante Vitö́rjuw (Dante Di Lenardo).
Alòra ko sömö́ më́le no zornàdo ka sömö́ bìle lḯbär, sömö́ sa špartḯle śis žlḯka won-na ràmo anu
sömö́ šle počàsu nu počàsu, però ko sömö́ došlè ghorë́-w Lipinje (caro mio) snih ë biw prajtèt dän
mètrö; alòra ta pärve ka šow ë narèdew 20-30 mètrinuw ë më́w sa stàvet śa počèt, anu dö́pu ë sa
špërtǘuw dän drǘghe. Anu itàku sömö́ šle indavä́nt dàrdu won-po tarìnjima. Ko sömö́ došle won-po
tarìnja ë bìlu prajtèt dwa mètrinä snë́ghä, së nimö moghlè pa pradrìt snih në. Kumòj kumòj dän po bótuw, dän po bótuw, šïn ka sömö́ dorivàle pradrít snih wun-śis tarènj dardu won na Pruwàlo. Došlè won-na Pruwàlo, sömö́ bìle wse prapúćane anu škanàne. Alòra: oǵat hliw, anu pukurjä́t paraćä́t žlḯka, naréät naròčija anu nabàsät dän žlek po bótuw, wéśat lë́pu śis wö̀rza, perchè sa wožǘwalu śis wòrza, dvi wòrze, śis plumàča dö-w žlek. Sömö́ paraćàle wsa žlḯka, ko so bile prònt žlḯkave wse, sömö́ sa špärtḯle spet na nùtär, però ta-prit ë mëw tet isì Dante Vitörjuw, Dante Di Lenardo.
Un ë hodèw ta-prit perchè ta-prit ë naréuw dwíste-trḯste mètrinuw ë sa stàvjuw anu mï ta-śat sömö́
hodḯle dän ta-w taghà drǘśagha, śa në jet rinkòrso anu tet ràwnu nǘtär, ka t’ë bílu perikolö́ws.
Alòra dàrdu nu-pod tarìnjima anu dö́pu spet 20-30 mètrinuw na-ta-prit anu rǘde itàku nu màju po
bótuw. Ko sömö́ došlè tra ta valḯka Màla-bànta anu ta màja Màla-bànta ë dän kanàw ka to ghre
ràwnu nùtär anu dohàö nu-w Lipìnje, śa në tet nu-po póte, ka t’ë šće pjë́js.

Alòra ta kanàw itu ë ràwnu nùtär, anu sömö́ dä́ržale wśdḯghnän žlek, śa gha wstàvet, da ba na
spùśnuw nu-ś duw, anu pa itu počàsu nu počàsu, dän ta-śa ta drǘghe, dän ta-śa ta drǘghe, śa sa
dä́ržät, šin ka sömö́ došlè nu-w Lipìnje. Nur ka sömö́ bile tu-w Lipìnjë t’ë bilu bö lèhku, anu počàsu
nu počàsu sömö́ došlè damùw. Anu ta-dö́mä sömö́ naslè së́nu won-na hliw.

Basida ka sa na doparà skorë́ već: wö́jniza, plumàča, aklö́.

COME ANDAVAMO A PRENDERE IL FIENO IN PROVALO, D’INVERNO
 
Quando era (l’ora) di andare a prendere il fieno in Provàlo, avvertivo mio padre di preparare 3 o 4
slitte, perché lui costruiva slitte, quelle grandi, non quelle piccole.

Andavamo in 4, 5 ma ci voleva anche uno grande ad aiutare: per caricare il fieno e per aprire la
strada nella neve. Era Dante, detto Dante Vitö́rjuw (Dante Di Lenardo).
Allora quando avevamo una giornata che eravamo liberi, si partiva con la slitta in spalla e si
andava piano piano, ma arrivati in Lipínje, caro-mio! la neve superava il metro; allora il primo della
fila apriva una pista nella neve di 20-30 metri poi doveva fermarsi a riposare e veniva sostituito da
un altro che proseguiva a battere la neve. Così si avanzava fino ai prati. Quando si arrivava ai prati,
la neve poteva essere alta anche due metri tanto da proseguire a stento.

Con grande fatica uno alla volta, si apriva un varco nella neve attraverso i prati fino in Provàlo.
Arrivati, eravamo tutti sudati e sfiniti. Allora: (si doveva) aprire il fienile e velocemente preparare le
slitte, fare le fascine di fieno e caricare una slitta alla volta, legare bene con le corde, perché si
legava le due corde alla slitta, con gli ancoraggi. Si preparava le slitte, quando erano tutte cariche, si
partiva di nuovo verso il basso, però in testa doveva essere lui, Dante Vitö́rjuw, Dante Di Lenardo.
Lui apriva la fila, faceva 20-30 metri e si fermava; noi dietro andavamo uno addosso all’altro, per
non scivolare e finire giù in fondo, perché era pericoloso. Allora così fino in fondo ai prati, si faceva 20-30 metri in avanti, sempre un po’ alla volta. Quando si arrivava tra i due Mala-bànta, il grande e il piccolo, c’era da percorrere un canale, che scende a picco e arriva in Lipínje, per non andare per la strada che era peggio. Allora quel canale è un declivio a perpendicolo e tenevamo alzata la slitta, per frenarla ed evitare di scivolare fino in fondo al canalone, e anche lì piano piano, uno addossato all’altro, per trattenerci, fino ad arrivare in Lipínje. Una volta arrivati in Lipínje, il tragitto diventava più facile, pian pianino si arrivava a casa. E a casa portavamo il fieno sul fienile.

Dino Di Lenardo Kafö́w

Parole che non si usano quasi più: wö́jniza (= impugnatura curva/manico della slitta), plumača
(=ancoraggio), aklö́ (=acciaio).

1 Provàlo: https://camminabimbi.com/2020/09/29/stavoli-povalo/ Val Resia,  sopra l’abitato di Oseacco si trovano questi stavoli ben recuperati che sorgono sui prati dove fino agli anni 50 le persone del paese portavano le bestie all’alpeggio; A circa 500 m. di dislivello. https://www.ecomuseovalresia.it/sentieri-ecomuseo/via-degli-alpeggi/

HOW WE WENT TO GET HAY IN PROVÀLO[1] IN WINTER

When it was time to go get the hay in Provalo, I advised my father to prepare three or four sleds, because he built them, big ones, not small ones. There were four or five of us going but we also needed a big one to help: to load the hay and to clear the road of snow. There was Dante, known as Dante Vitö́rjuw (Dante Di Lenardo). So when we had a free day, we set off with the sleds at our shoulders and it was slow going, but once we reached Lipinje, oh boy! the snow was more than one metre deep; then the first on to go opened a track in the snow of 20-30 metres then had to stop to rest and was replaced by another which continued to plough the snow. Thus we progressed to the meadows. When we reached them, the snow could be even two meters deep, making progress a real struggle. With great difficulty, one by one, we opened a track in the snow across the meadows to Provalo. When we arrived, we were all sweaty and exhausted. So, we had to open the barn and quickly prepare the sleds, make bundles of hay and load one sled at a time, tie it well with ropes, because   two ropes were tied to the sled with anchors. We have prepared all the sleds. When the sleds were ready and loaded, we set off downwards again, but he had to be in the lead, Dante Vitörjuw, Dante Di Lenardo. He led the line, did 20-30 metress and stopped; we went behind one another, taking care not to slip and end up at the bottom, because it was dangerous. This was how we went all the way to the end of the meadows, going 20-30 metres ahead, always a little at a time. When we arrived between the two Mala-banta, the large one and the small one, we had to go through a channel, which goes downhill finally arriving in Lipinje, thus avoiding the road which was worse. The channel is a perpendicular slope and we kept the sled raised, to slow it down and avoid sliding to the bottom of the gully, and still we went slowly, one behind the other, to hold us steady, until our arrival in Lipinje. Once we arrived, the journey became easier, little by little we arrived home. Once there, we carried the hay to the barn.

 

Words that are almost no longer used: – (= curved grip/sled handle), – (= anchorage), -(=steel).


[1]Provalo: https://camminabimbi.com/2020/09/29/stavoli-povalo/ Val Resia,  sopra l’abitato di Oseacco si trovano questi stavoli ben recuperati che sorgono sui prati dove fino agli anni 50 le persone del paese portavano le bestie all’alpeggio; A circa 500 m. di dislivello. https://www.ecomuseovalresia.it/sentieri-ecomuseo/via-degli-alpeggi/

Le perle della lingua resiana

La lingua resiana (che certi linguisti vogliono sminuire a dialetto sloveno), conserva ancora interessanti tratti arcaici e altri elementi d’interesse come ad esempio la storia racchiusa nelle sue parole: queste sono le perle della lingua resiana, che cerco di scoprire e far conoscere.

LÀNITÄ

LÀNITÄ – guancia. È una parola antichissima, che è conservata nel resiano da prima degli anni 1000.

Di seguito si riportano due frasi tratte dagli antichi manoscritti slavi, comprensibili a chi conosce il resiano.

  1. I bijaahǫ i po lanitama. (paleoslavo traslitterato)

(= e lo percuotevano sulle guance; lo schiaffeggiavano [dal martirio di Gesù]).

  • Iže tę oudarit   v   desnǫjǫ lanitou, obrati-emou   i           drougǫjǫ. (paleoslavo traslitterato)

Ći  te uwdari tu-w prawo    lanito,  obrati-mu      pa (to)   drugho. (resiano)

Se ti colpisce la guancia destra, volgigli anche l’altra. (frase di Gesù)

Il significato ‘guancia’ in resiano è confermato anche nel passaggio di una wïžä: Riśleste dö ś te ćanibe ś solśami dö po lanitah = (orsù) scenda dalle scale, con le lacrime lungo le guance.

Il termine ‘Lànitä’ si è conservata con il significato originale solo nel resiano; in alcune, poche altre parlate, ha modificato il senso originale.

POVÍRÄK

POVÍRÄK, lo conoscete tutti, è un attrezzo ricurvo, appoggiato alle spalle, dotato alle estremità di ganci in ferro ai quali appendere i secchi (ćowdírja) per portare l’acqua dalla fontana in casa, necessaria sia per gli animali che per gli abitanti. In italiano si chiama ‘arconcello’.

In resiano il termine deriva da ‘*po-vir’, usato per dire tet po-vir = ‘andare per (prendere) l’acqua’. Il termine *po-vir, significava ‘alla pozza (dell’acqua)’ e il sostantivo ha acquisito il suffisso ‘-ak’ [come junàk, lesjàk, màčak, osrídak, ostàjak, ostának, rüsjäk…]

In internet https://www.veneziaradiotv.it/blog/bigolo-significato-dialetto-veneziano/ si legge che, in dialetto veneziano, l’arconcello/povíräk si chiama ‘bigòlo’; inoltre: “Veniva utilizzato nelle campagne settentrionali fino agli anni ’50, prima che le abitazioni si fossero dotate di acquedotti. Ad esso si preferì l’utilizzo della bicicletta, o dei mezzi motorizzati. Ad introdurlo nell’utilizzo erano stati i popoli slavi”.

WON

WON: su.In paleoslavo (vedi il testo ‘Introduzione alla lingua paleoslava’ di N. Marcialis, 2005) ‘von’ è una preposizione che significa ‘fuori’. Esempi a pag. 214 del testo citato: išedšema…vъnъ grada (= usciti fuori città), oppure vьne domu (= fuori casa). Da notare che won si declina, sia nel paleoslavo come anche in resiano: tet won (=salire) e bet tu-w-wnë (=essere lassù). A differenza del paleoslavo però, e solo in resiano, WON significa ‘su’: tet wòn ‘salire, andare su’.

Nelle altre lingue slave, es. sloveno per ‘salire’ si dice: Ceco: Jit nahoru; Croato: Ići gore; Polacco: Iść do góry. In resiano la preposizione ‘gore’, era ben nota, ma si è affermata la formula con la preposizione won.

Questa locuzione ci suggerisce che le particolari condizioni ambientali abbiano indotto la scelta di won invece di goré perché, nel passato, quando le case degli antichi resiani, erano interrate, per ‘uscire fuori’ era necessario ‘salire’. La conferma è data dalla seguente combinazione: per ‘andare fuori’, in resiano si dice tet won zwûna, cioè si deve ‘salire’ won e, da lì, ci si sposta per ‘andare ‘fuori’[*z-вънa = ś wüna]. Lo studioso può apprezzare qui la sequenza della declinazione: wüna (genitivo), won (accusativo), wne (locativo).

Interessante è il parallelismo con tet dolu ‘andare giù’, che prevede anche tet dö’ ś dolá, ‘andare fino sul fondo’, oppure ta- dö’ ś dolá ‘laggiù in fondo’ (stato in luogo).

Per completare questa breve indagine sulla preposizione wonvalutiamo anche le altre locuzioni che la contengono:

stat tu (w) wnë’, ‘stare lassù [stare lì su]’; stat tu’ wne w ćanibe (= stare su in camera), complemento di stato in luogo;

stat wnë’, ‘stare in allerta, vigilare’. In resiano questa azione è possibile solo durante la notte e non avrebbe senso alla luce del giorno. Anche in questo caso ‘stat wnë’suggerisce una condizione reale, ovvero la veglia notturna, ipotizziamo, a guardia della propria casa e dei beni.

tet wün dwör = andare fuori nel cortile (ma è sottinteso che sia necessario salire!)

ŚLEDÄT/ŚGLEDÄT, ŚLADÜWÄT

Ślédat/śglédat, śladǘwät ‘contare’. Ho notato che nelle lingue slave non esiste un termine univoco per esprimere l’azione di ‘contare’. Da una verifica effettuata, troviamo: in russo ‘считать’ (che significa anche ‘considerare, leggere’); in sloveno ‘šteti’, in slovacco ‘počítati ̍’, in ceco ‘počítat’, in croato ‘brojati’, in polacco ‘liczyć’.

In resiano śledat/śgledat ‘contare’, è un termine coniato in autonomia, deriva probabilmente da *raz-gledat, dove raz- indica ‘divisione, frazionamento’; per cui ‘guardare separatamente’ śgledat/śledat è stato assunto come formula per l’azione di ‘contare’. Da questo termine è stato coniato poi il verbo iterativo śladǘwät ‘contare molte volte o di seguito’.

Anche la numerazione ha una sua particolarità nel resiano:

da 1 a 19

dän, dwa, trï/trïje, štire/štirje, pet, šëjst, sëdän, ösän, dëvät, dësät, dänest, dwanest, trïnest, štärnest, petnest, šëjstnest, sëdanest, ösanest, dëvätnest,

20 e 30

20 = dwiste, 30 = trïste, [più simile alle centinaia, nel russo двести/dvesti, триста/trista o nello sloveno ‘dvesto e tristo’ (200-300), piuttosto che a ‘двенадцать/dvenadzat’ o ‘тринадцать/trinadzat’, (20-30), ecc.]

21, 22…39

20+1, 20+2…39, dwiste (a)nu dän, dwiste (a)nu dwatrïste (a)nu dëvät;

40 = štrede < štiri rède, lett. ‘quattro file’;

50 = patërduw < pet ridúw, lett. ‘cinque file’;

è evidente che le ‘file’ contengono 10 unità, perciò ricordano la pratica del calcolo con l’uso del pallottoliere.

Alcuni esempi di numerazione:

40+1+2, 50+1+2, štrede(a)nu dän, (a)nu dwa; patërduw (a)nu dän, (a)nu dwa;

da 60 in poi il calcolo è di tipo vigesimale:

60 = 3 volte 20, trïkrät dwiste; 70 = 3 volte 20 + 10, trïkrät dwiste anu dësät;

80 = 4 volte 20, štirkrät dwiste; 95 = 4 volte 20 + 15, štirkrät dwiste anu petnest;

100 stūw.

Per esprimere le centinaia e migliaia il resiano si è affidato a prestiti friulani: 200 dwa čantanarja, 300 trï čantanarja; 1000 den mijār, 2000 dwa mijarja, 3000 trï mijarija.

(SELLA) SAGATA

Un toponimo interessante è Sagata, località sul crinale che divide Resia da Chiusaforte: cosa significa questo termine? Semplice, significa ‘*sa – ghatär’ = ‘dietro la grata (inferriata con funzione di chiusura, riparo)’.

Il termine Sagata ha la stessa origine di Zamlin/Samlin, che significa ovviamente ‘dietro il mulino’ o come Sakališće ‘dietro Kališće’.

Sagata = Sa-ghatä(r) – ha ben ragione di chiamarsi così, poiché si trova dietro la celebre ‘Chiusa’ di Chiusaforte, la fortezza impenetrabile che ha ostacolato anche il passaggio di eserciti e di qualsiasi ‘genti che volessero passare se fossero nemiche’.Il toponimo ‘Clusam’ si trova documentato già nel 1070.

In internet troviamo un po’ di notizie storiche https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/chiusaforte-ud-la-chiusa/ “Il nome deriva dalla costruzione di una fortezza (“La Chiusa”) voluta dal Patriarca di Aquileia (1100 circa) con la quale si imponeva il pagamento di un dazio a chi transitava. Successivamente più volte ampliata, della fortezza oggi non ci rimangono che poche tracce in prossimità del Ponte di Ferro della Ferrovia. A causa della vicinanza strategica del passo e l’interesse economico della fortezza, Chiusaforte attirò l’attenzione di tutti i dominatori del tempo e per molti secoli fu contesa dai duchi d’Austria, dai Patriarchi d’Aquileia e dalla Repubblica di Venezia, subendo inoltre le invasioni turche.”

R. Dapit (in Aspetti di cultura resiana nei nomi di luogo 3., pag. 171) scrive che il termine Sagata deriva dal verbo (sloveno) ‘zagatiti = otturare, chiudere’: ma da dove deriva il verbo sloveno ‘zagatiti’? Deriva da ‘sagata(r)’ e il significato ‘turare, ostruire’ lo dimostra senza dubbio. Perciò il termine (Sella) Sagata non deriva dal verbo sloveno ‘zagatiti’, ma è una definizione creata dai Resiani, suggerita dall’evidenza dei fatti: la località (sella) Sagata si trova ‘dietro la Chiusa’: ‘śa – ghatär’.

LA FORMA IMPERSONALE DEL VERBO

Nella forma impersonale, i verbi presentano sempre la desinenza della terza persona singolare e, al passato, quella del neutro.

Nel resiano la forma impersonale del verbo si esprime sia con la particella TO, sia con il riflessivo SA.

Forma impersonale con TO

  1. TO corrisponde alla forma impersonale dell’italiano: ‘(esso) + verbo’.

To balaná = (esso) nevica;

To lïë = (esso) piove;

To straše = (esso) fa paura;

To śalaní = (esso) verdeggia;

To mi na plažá = (esso) non mi piace;

To ghre nu ghrozoná = (esso [va e rumoreggia]) si sente un frastuono di passi e di rumori;

T’ë (<to ë) bilu tu-w jasanè, ko sa dilä kombuštïbel, ‘era autunno, quando si fa legna (combustibile).

  • Il pronome TO ha la funzione di soggetto e può indicare, non soltanto un oggetto ma un intero enunciato:

Isí, to ë twej lïbre ‘questo, (esso) è il tuo libro’.

Non è possibile, in resiano, elidere la particella to; esempio: Isí, — ë twej lïbre ‘ questo, — è il tuo libro’; in italiano la frase è corretta, ma in resiano non ha senso.

Isö, to ë tö ka rekow ‘questo, (esso) è ciò che [egli] disse’.

Il primo to è il soggetto del verbo ‘è’. Il secondo tö è il dimostrativo ‘ciò’, ha la funzione di soggetto, è di genere neutro e si unisce al relativo ‘che’. È la stessa locuzione dell’italiano: ‘chiedimi ciò che vuoi’ barima tö ka ti će(š).

Isö́ höanjë, t’ë (< to ë) ma strüdilu ‘questo camminare [continuo], (esso) mi ha stancato’;

T’ë mi tëlo karë nagha tïmpä, prit nu-ku dojtet… ‘Mi ci è voluto molto tempo, prima di giungere…’

  • La forma impersonale TO+ verbo (nel tempo passato, al neutro) esprime il soggetto duale di 3^ persona.

Onda nur biw ta ravanške patalen anu ta biske päs, anu t’ë bilu šlu dëlät kombuštïbel won Püsti Ghöst; t’ë bilu tu-w jasanè, ko sa dilä kombuštïbel.

‘C’era una volta il gallo di Ravanza e il cane di Bila/San Giorgio, e (loro due) erano andati a fare legna [combustibile] su in Pusti Gost; era autunno, quando si fa la legna’.

Forma impersonale (con particella riflessiva) SA

            Un’altra modalità di forma impersonale prevede l‘uso della particella riflessiva SA. Questa forma non è presente nelle lingue slave, appare invece nel friulano. La particella SA precede il verbo.

Sa ghre won ‘si va su/si sale’; sa ji wsë ‘si mangia tutto’; sa dilä kombuštïbel ‘si fa legna [combustibile]’;

Con negazione

Sa na ghre won = ‘non si va su/non si sale’; sa na ji wsë ‘non si mangia tutto’; sa na dilä kombuštïbilä ‘non si fa legna [combustibile]’; sa na plaćä ‘non si paga [è gratis]’.

WÏŽÄ – LA RAGAZZA DEI GRILLI

È il racconto di una storia d’amore, di corteggiamenti tra un ragazzo e una ragazza, di spensieratezza giovanile, ambientato nel dopoguerra, con le usanze e le abitudini di allora. “La ragazza dei grilli” è la protagonista principale degli episodi e delle situazioni verificatesi nelle memorabili serate d’amore, realmente vissute dai due protagonisti (così scrive l’autore Antonio Di Lenardo Čezar, 1986).

La ragazza dei grilli. Ko lipa-ma ma čakalä nu ghrïghića pošlüšalä. (Quando la mia bella mi aspettava ed ascoltava i grilli).

Në snukä, nu prasnukanjen                                           Ieri sera, no: ma l’altra sera

Ko lipa-ma ma čakalä                                                      quando la mia bella mi aspettava

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Nu ta-na lïnde čakalä                                                      e sul pergolo aspettava

Nu ta-na lïnde špeghalä                                                  e dal ballatoio osservava

Ta banadïnä rožizä                                                           quel benedetto fiorellino

Ghrighića na poslüšalä                                                    ascoltava i grilli.

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Ko lünä sa pokaśalä                                                         Quando è spuntata la luna

Tadej sa wo sa vïdalö                                                      allora ci siamo visti

Tu-w öče sa polednulö                                                    Negli occhi ci siamo guardati

Tu-w öče sa poghledalö                                                  negli occhi ci siamo osservati

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Nu ko sa wo sa jïbilö                                                        E quando ci accarezzavamo

Sa nï-wa čülö ghrïghičuw                                               non sentivamo i grilli

Nu ta-śa mirän špeghale                                                E dietro il muro spiavano (i monelli)

Śakükurükuw patalen                                                     il gallo ha cantato

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

Tadej sa-wo sa püstilö                                                     allora ci siamo lasciati

Nu śüträ spet ma čakalä                                                 e l’indomani mi aspettava di nuovo

Ta banadïnä rožizä                                                           quel benedetto fiorellino

Ghrïghića na poslüšalä                                                    ascoltava i grilli.

La li la la, la li la la                                                             la li la la, la li la la

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