In passato, incuriosito dalle vicissitudini riguardanti le “portatrici carniche”, che rifornivano il fronte durante la grande guerra, ho cercato informazioni ovunque. Con l’avvento di internet è stato certamente più facile accedere a questa “biblioteca mondiale” che ci permette di entrare in una costruzione con infinite stanze.  Ho cercato di capire quale fosse la motivazione che ha spinto queste donne a svolgere un lavoro tanto faticoso. Motivazione patriottica o necessità di procurarsi un reddito per mantenere la famiglia? Entrambe? La storia riporta che alla richiesta di aiuto per portare i rifornimenti al fronte, la risposta di una di esse, quella poi caduta sotto il fuoco nemico fu: “Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame”.

Ho voluto scrivere questo articolo per far conoscere una pagina di storia resiana, perché da una prima indagine, a Stolvizza, nessuno è al corrente di questa attività svolta durante la prima guerra mondiale. Le portatrici carniche hanno messo a rischio la propria vita perché in alcuni punti il percorso era sotto il fuoco del nemico, quelle resiane fortunatamente no. Il percorso, militarmente parlando, era completamente in sicurezza. Mia nonna paterna Maria Negro era una delle portatrici resiane.

Siamo nel 1917 e il fronte è a ridosso della nostra valle; le truppe necessitano di essere rifornite continuamente di armi, munizioni e sostentamento. Servono volontari per il trasporto fino a Sella Prevala.

Munizionamento, armi e alimenti arrivano con i camion militari, o carri trainati da cavalli, alla frazione di Prato di Resia. A Prato la strada termina. Qui vengono caricati i muli, che li portano sul monte Colc dove termina la mulattiera. I muli non possono procedere oltre perché il sentiero è stretto e non adatto a loro. Da qui servono spalle forti, gambe robuste e tanta volontà.

Si forma una squadra con decine di persone e caposquadra è mio bisnonno materno Antonio Moznich. Anche la bisnonna, allora incinta, fa parte del gruppo come portatrice. Il carico, trenta chili per le donne e cinquanta per gli uomini, deve essere portato fino a Sella Prevala. Chi compie il tragitto completo è remunerato con cinque lire. Tre lire invece a chi arriva fino alla casermetta militare Celso Gilberti, ora un rudere.

La nonna, allora diciannovenne, ha svolto questo servizio per circa un anno. Non continuamente, quando arrivavano i rifornimenti.

Il trasporto ha inizio da monte Colc, distante un’ ora di cammino dal paese. Poi si sale agli stavoli di Narone, con una salita senza particolare difficoltà. Da Narone diventa più impegnativa e si sale fino a circa 1400 metri per arrivare al punto in cui il sentiero aggira la montagna sotto il monte Sart, spostandosi a destra verso il monte Canin. Da qui il sentiero si mantiene sostanzialmente piano, non è difficoltoso ma molto pericoloso. Il prato è molto ripido e nessun appiglio a cui aggrapparsi in caso di caduta. I nonni mi raccontavano che quando dovevano falciare, asciugare e raccogliere il fieno usavano i ramponi da ghiaccio per non scivolare. Per comprendere quanto è ripido il terreno i locali chiamano quel tragitto, “Röbra-petto, torace”. Nel ripido prato non è presente alcuna possibilità di appiglio.

Terminato l’attraversamento si arriva agli stavoli di Casera Grubia. Siamo in prossimità della base sinistra del monte Canin di fronte al picco di Bila Pec.

Da qui si riprende a salire. È l’ultima salita, la più impegnativa.

Ci sono una infinità di tornanti che permettono di raggiungere Sella Grubia dove finalmente la salita termina. Da qui il sentiero costeggia la schiena del monte Canin diventando sostanzialmente piano fino al rudere del vecchio rifugio, una casermetta militare intitolata a Celso Gilberti. Per la nonna e pochi altri il viaggio termina qui.

Chi vuole può proseguire fino a Sella Prevala per due lire in più: bisogna scendere fino all’attuale nuovo rifugio, che oggi si può raggiungere con la funivia, e poi risalire per raggiugere la sella dove il viaggio termina per tutti.

A Stolvizza hanno partecipato a questa attività almeno una decina di persone di cui fu fatta anche una foto ricordo, purtroppo andata perduta. Non sono a conoscenza se anche a Resia fosse stato formato un corpo di ausiliarie, come per le portatrici carniche, ma so che a tutti coloro che parteciparono venne consegnata, quale riconoscimento dell’attività, una medaglia d’oro al valore. Purtroppo quella di nonna Maria fu rubata una decina di anni fa da casa dei miei genitori dov’era tenuta in bella mostra a ricordo della nonna.

Rimane il ricordo indelebile che mai potrà essere intaccato, neppure dai ladri criminali.

Tiziano Quaglia